Il sonetto – Storia e differenze nella tipologia
La forma poetica del sonetto nasce in Italia, probabilmente ad opera di Jacopo da Lentini, ma è un altro genio italiano che la porta in auge. Da Petrarca in poi la maggior parte dei poeti rielabora quella materia malleabile e consona a esprimere la propria interiorità che è il sonetto. Questa forma, composta da 14 versi divisi in quartine e terzine, approda in contesti completamente diversi da quello di nascita ed ogni volta ne esce rigenerata. Molti poeti hanno utilizzato il sonetto dichiarando apertamente l’adesione al petrarchismo, basti pensare a Luis de Gòngora nella Spagna del siglo de oro fino ad arrivare al più recente Ungaretti in Italia[1]. Altri invece, pur utilizzando tale forma poetica, sono sempre stati tacciati di antipetrarchismo come ad esempio Shakespeare[2].
L’influenza di Petrarca su Shakespeare
Quello che risulta curioso dell’influenza di Petrarca sul poeta elisabettiano è il lungo giro che permise la diffusione del genere sul suolo britannico e portò alla nascita di una delle opere più studiate in lingua inglese, i sonetti shakespeariani. Hyland[3] fa notare come il bardo iniziò a scrivere tali composizioni negli anni 90 del XVI secolo dando un importante contributo a una forma che esisteva in quel contesto da poco più di cinquant’anni. Quasi sicuramente l’elisabettiano non lesse mai l’opera in italiano e forse non conobbe mai l’origine di questa forma che gli assicurò una larga fortuna.
Infatti, colui che importò il sonetto nella prima metà del ‘500
fu il diplomatico Sir Thomas Wyatt a cui si deve l’introduzione del distico finale rimato che cambia la struttura del sonetto, “making it tends towars a neat conclusion in the final two lines”. Dopo di lui molti si cimentarono nella scrittura e allo stesso tempo contribuirono ad adattare sempre più tale forma poetica alla lingua in cui era approdata, tra tutti va ricordato certamente Henry Howard che inventò lo schema rimico del tipico sonetto inglese abab cdcd efef gg. Colui che però diede una svolta al genere in Inghilterra fu Sidney con la sua raccolta “Astrophil and Stella” , infatti il lustro del nome del poeta permise una larga diffusione del sonetto che divenne di moda.
Questa evoluzione del genere però non fu l’unica
causa che portò il bardo a cimentarsi in ambito poetico. Bisogna aggiungere che alla creazione della raccolta del poeta inglese ci fu un’altra concausa esterna dettata (anche) dall’interesse economico. Nel 1592, la chiusura dei teatri dovuta alla peste portò Shakespeare a dover trovare un nuovo modo di guadagnarsi da vivere in un’epoca in cui il mestiere di scrittore non esisteva. L’unico modo di avere un’entrata economica era quello di affidarsi ad un mecenate[4]. Così l’autore si cimentò nella scrittura di due lunghi poemi narrativi che nel 1609 vennero pubblicati insieme alla raccolta dei sonetti[5]. Questi ultimi rimasero probabilmente come forma di scrittura più personale sebbene non fossero di certo destinati alla sola lettura privata come quelli di Sidney, che infatti vennero pubblicati postumi.
La forma finale del sonetto
Dopo tutte queste peripezie il sonetto che arrivò al poeta elisabettiano aveva attraversato delle trasformazioni necessarie alla sua sopravvivenza nei secoli e, come sappiamo, ne attraverserà altre fino ad approdare ai giorni nostri. Come è possibile allora parlare di continuità tra Shakespeare e Petrarca? Strier argomenta che nonostante quelle che sembrano enormi differenze, emerge un profondo senso di continuità tra il “Canzoniere” e la raccolta del poeta di Stradford. Abbiamo già parlato delle evoluzioni formali del sonetto inglese che vengono fatte proprie da Shakespeare tanto che divengono emblematiche del suo stile.
Quello che però colpisce della sua originalità
è più a livello tematico che strutturale, anche se un lettore distratto potrebbe pensare che si trovi qui la grande differenza tra i due poeti. Booth infatti nel suo saggio mostra che l’abilità di giocare con le convenzioni tematiche del genere, ribaltandole, collega l’opera del bardo non solo con Petrarca ma anche con altri grandi poeti della letteratura mondiale quali Dante, Donne o Herbert. Qualsiasi opera poetica gioca con delle convenzioni note ad un dato pubblico, la capacità di riuscire a rielaborare quelle convenzioni è ciò che causa sorpresa e diletto nel lettore. Tale meccanismo è presente nell’opera shakespeariana che, partendo da topoi petrarcheschi, espande le convenzioni tematiche e approda a nuove soluzioni creative.
Esempio di utilizzo di differenti tipi di sonetti
È possibile osservare ciò confrontando il sonetto 12 del “Canzoniere” con il numero 17 di Shakespeare, fondamentale poiché traccia una linea di demarcazione tra i “marriage sonnets” e quelli dedicati al “fairy youth”. Entrambi affondano le radici nel topos del tempus fugit che tramite la letteratura latina passa alla lirica di Petrarca e approda nel mondo anglosassone grazie agli imitatori di quest’ultimo. Da qui si osserva come però il risultato ottenuto sia differente. Il poeta italiano rielabora tale tematica per esortare l’amata a contraccambiare il suo amore prima che la vecchiaia causi la decadenza fisica e l’affievolimento della passione. D’altra parte Shakespeare utilizza questo topos per convincere l’amato a procreare preservando così la sua bellezza.
Il centro della lirica di Petrarca è semplicemente l’interiorità del poeta
e lo si nota dal tipo di lessico utilizzato collegato al campo semantico della sofferenza (ritroviamo nel testo parole come “tormento”, “affanni” e “dolore”[6]), inoltre risulta evidente anche dall’uso dell’espressione “ch’i” (che io) ripetuta ben due volte e dalla presenza dell’aggettivo possessivo “mio”. Per il poeta elisabettiano invece la preoccupazione principale sembra essere non tanto la sopravvivenza della bellezza dell’amato, quanto l’immortalità della propria poesia. A tale proposito Edmondson e Wells[7] osservano come l’opera del bardo presenti una “self-reflexive quality” e lo si può notare dall’ampio utilizzo di lessico legato al campo semantico della letteratura come “verse”, “write”, “poet”, “my papers”, “metre”, “song” e “rhyme”[8].
Questo fattore è da imputarsi probabilmente
più alle circostanze storiche che non ad una forma di egocentrismo. Infatti, sebbene la stampa ed il mercato editoriale ancora non raggiunga la sua epoca d’oro, in epoca elisabettiana si inizia ad avere una concezione diversa della letteratura grazie anche all’invenzione di Gutenberg avvenuta un secolo prima. Allo stesso modo può essere tracciata una linea di continuità e delle linee di deviazione che collegano l’opera dei due poeti attraverso i secoli. Strier ad esempio, partendo da una profonda analisi delle Rime di Petrarca, esamina i temi cardine che accomunano le due raccolte in questione come l’idea secondo la quale la persona amata è “a beautiful mortal thing”[9].
Conclusione
Concludendo, l’opera shakespeariana nonostante la deviazione dal canone petrarchesco e il suo originale risultato si rivela perfettamente in linea con la tradizione poetica del sonetto che attraversa i secoli. Paradossalmente “some of the most obviously ‘anti-Petrarchan’ poems in the volume of Shakespeares sonnets turned out to be in some ways deeply Petrarchan.”
Note:
- [1] Livorni, E. (2004). Ungaretti’s Critical Writings on Petrarch and the Renewal of the Petrarchan Tradition. Annali D’Italianistica, 22, 337-360. Retrieved from http://www.jstor.org/stable/24010009http://www.jstor.org/stable/24010009http://www.jstor.org/stable/24010009.
- [2] Schoenfeldt, M. (2010). The Cambridge introduction to Shakespeare’s poetry. Cambridge: Cambridge University, p. 80.
- [3] Hyland, P. (2002). An Introduction to Shakespeare’s sonnets. Palgrave Macmillan, p. 128.
- [4] Hyland, op. cit p21
- [5] Schoenfeldt, op. cit. p58
- [6] Cfr. Sonetto 12.
- [7] Edmondson, P. & Wells, S. (2004). Shakespeare’s sonnets. Oxford: Oxford University Press, p. 48.
- [8] Cfr. Sonetto 17.
- [9] Schoenfeldt, op. cit. p81
Bibliografia
- Francesco Petrarca. Los sonetos del Cancionero bilingüe de Atilio Pentimalli, Bosch, Barcelona, 1981.
- Hyland, P. (2002). An Introduction to Shakespeare’s sonnets. Hampshire: Palgrave Macmillan.
- Livorni, E. (2004). Ungaretti’s Critical Writings on Petrarch and the Renewal of the Petrarchan Tradition. Annali D’Italianistica,22, 337-360. Retrieved from http://www.jstor.org/stable/24010009
- Muir, K. Shakespeare’s sonnets. London [etc.]: George Allen and Unwin
- Schoenfeldt, M. (2010). The Cambridge introduction to Shakespeare’s poetry. Cambridge: Cambridge University.
Articolo di
Simona Ciavolella
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